20 Aprile 2024

Storia

Storia

Introduzione

L’attuale parrocchia di S. Michele Arcangelo nella chiesa del “Gesù” al quartiere Empolitano, affonda le sue radici nella storia di tre importanti chiese tiburtine:
la chiesa di S. Michele a Piazza Palatina
la chiesa del SS. Salvatore (demolita nel 1708 e che sorgeva tra il Palazzo comunale, Via I. Missoni e Via del Governo)
la chiesa di S. Sinforosa e Figli Martiri detta “il Gesù” perché retta fin dalla sua fondazione dai Padri Gesuiti, che avevano nelle vicinanze il loro Collegio.

1.1 – La Chiesa di S. Michele Arcangelo a Piazza Palatina.

La vecchia chiesa di S. Michele Arcangelo, risalente al XII sec., alternando periodi di attiva vitalità, a periodi di temporaneo decadimento, mantenne la sua funzione di parrocchia fino a circa il 1920, quando passò la sua giurisdizione alla più recente chiesa di S. Sinforosa.


Chiesa di S. Michele Arcangelo a Piazza Palatina e Campanile

Fin dal tempo di San Gregorio Magno, il culto all’Arcangelo Michele era molto diffuso tra i paesi della diocesi, che legavano la fine della terribile pestilenza del 590, al racconto leggendario dell’apparizione  dell’angelo sopra la Mole Adriana di Roma nell’atto di riporre nel fodero la spada della punizione divina.
Così la vecchia chiesa di S. Michele, ubicata nel cuore di Tivoli, divenne il centro propulsore di questo culto nella città.
Il piccolo edificio e l’annesso campanile conservano ancora oggi l’originario aspetto medievale, mentre l’interno è stato completamente rinnovato nel corso del Settecento.
La facciata, a capanna, ha un portale centrale con timpano su cui era affrescato l’Arcangelo Michele, probabilmente nell’atto di cacciare Lucifero dal Paradiso. Attualmente si riconoscono soltanto le ali dell’Arcangelo.1
All’interno, tra le molte decorazioni pittoriche, faceva bella mostra di sé, sull’altare maggiore, una tela a olio raffigurante S. Michele Arcangelo in vesti militari, con corazza, cingolo, elmo piumato e calzari, nell’atto di trafiggere Satana.   Il quadro era ritenuto opera di Vincenzo Manenti, al quale si attribuiscono anche il quadro di S. Stefano in Cattedrale e quello di S. Francesco Saverio al Gesù.
L’edificio è stato sconsacrato negli anni immediatamente successivi la seconda guerra mondiale, diventando proprietà del Comune di Tivoli.

1.2 – La Chiesa del SS. Salvatore

L’antica chiesa del SS. Salvatore svolse la sua missione tra il X e il XV sec.
Non si sa molto sulle sue origini.   Per certo si dà la profonda fiducia che il popolo tiburtino riponeva nella protezione del Salvatore, come attestano le numerose edicole collocate nei punti strategici per la difesa cittadina (al Ponte degli Arci, alla Leonina, al Ponte Lucano, al Ponte dell’Acquoria, al “Salvatore de lu reposu” sotto Monte Catillo).
E certamente anche nella chiesa doveva esserci un’immagine del Salvatore più antica di quella del celebre Trittico del XII sec. conservato in Cattedrale2.


Resti della Chiesa del SS. Salvatore “in Arcu”.

Il periodo più fiorente di questa chiesa fu quindi a cavallo dell’anno mille; poi con il dilatarsi della città verso sud, la sua importanza diminuì.
Il 20 luglio 1554, passando ai Gesuiti, cessò di essere parrocchia.
Il 28 luglio 1556 moriva il benefattore don Lorenzo Virili che lasciava alla Chiesa un bel
Crocifisso di legno alto più di due metri e che trovò posto sopra l’altare maggiore.3
Dopo la costruzione della nuova chiesa intitolata a S. Sinforosa e Figli Martiri, la Chiesa del SS. Salvatore mutò il nome in quello di S. Getulio fino al 1708, anno in cui fu demolita e il terreno su cui sorgeva fu incorporato al giardino del Collegio.

 1.3 – La Chiesa di S. Sinforosa e Figli detta “Chiesa del Gesù”.

I lavori di costruzione della chiesa di S. Sinforosa iniziarono, su progetto dell’architetto Giacomo Della Porta,  l’8 luglio 1582 e l’edificio venne consacrato a luogo di culto il 18 luglio 1587. 4
La nuova chiesa, che presto fu chiamata dal popolo tiburtino “il Gesù” per la vicinanza all’omonimo Collegio retto dai gesuiti5, era estremamente semplice nelle linee, ma non per questo priva di maestosità ed eleganza.


Facciata dell’antica Chiesa di S. Sinforosa detta “del Gesù”.

L’abside  era decorato con affreschi  attribuiti, secondo qualche critico, al gesuita p. Giovanni Battista  Pozzi (1561 – 1589)6, secondo altri a Federico Zuccari (1540-1609) che allora era impegnato presso la Villa d’Este di Tivoli.   Tali affreschi avevano per soggetto la “Gloria del Paradiso”, mentre  sui muri laterali  c’erano episodi del martirio di S. Sinforosa, dei Figli, di S. Getulio e Compagni Martiri.
Un restauro maldestro operato un secolo dopo, danneggiò irreparabilmente le pitture.
L’altare maggiore aveva avuto all’inizio il grande Crocifisso ligneo cinquecentesco, donato alla chiesa del SS. Salvatore da Lorenzo Virili.  Nel 1700 tale Crocifisso, restaurato e ridipinto, fu trasferito nella “Cappella del Crocifisso”, nel piccolo vano d’angolo a fianco del presbiterio.


Chiesa di S. Sinforosa –  l’altare maggiore

Nel 1708 il pittore tiburtino Francesco Serbucci donò alla chiesa un quadro raffigurante S. Sinforosa intenta ad incoraggiare i Figli nell’affrontare il martirio; la tela fu posta sull’altare maggiore dove rimase per due secoli.   Fu sostituita prima del 1944 da un quadro di stessa ispirazione, eseguito dal pittore Gino Piccioni, oriundo di Foligno, ma residente a Tivoli.7


Chiesa di S. Sinforosa – dipinto realizzato da Gino Piccioni, rappresentante S. Sinforosa e  Figli

Tra le varie cappelle laterali merita un cenno particolare l’ultima sul lato sinistro, quella dedicata alla Madonna, detta anche “della Madonna della Neve”.   In tale cappella, rivestita nel 1734 di marmi pregiati su disegno di Luigi Vanvitelli, era esposto il quadro donato da S. Francesco Borgia, copia perfetta della Madonna “Salus populi Romani”, ritenuta dipinta da S. Luca e conservata nella Basilica di S. Maria Maggiore a Roma.8


Chiesa di S. Sinforosa – Cappella della Madonna  (L. Vanvitelli)

Inaugurata esattamente 1450 anni dopo il martirio della Santa, la chiesa di S. Sinforosa divenne un forte centro d’irradiazione del culto dei Martiri Tiburtini.
Moltissime erano le reliquie che qui si conservavano, per lo più appartenenti a S. Sinforosa, ai Figli, al marito di lei Getulio e a altri parenti e compagni martiri ricordati dalla tradizione.
Le reliquie di S. Sinforosa, consistenti in ossa del capo, capelli, grumi di sangue e lenzuolo funebre, sono tuttora conservate nel busto argenteo, dono di Bernardino Lolli nel 1704; frammenti di legno del patibolo cui la Martire fu appesa, sono raccolti in una teca a forma di croce che scende dal collo sul busto stesso.


Busto argenteo di S. Sinforosa – Arte Barocca (1704)

Grande era la devozione del popolo tiburtino che, come ci racconta G. C. Crocchiante,9 era solito festeggiare “con pompa e musica”, S. Sinforosa e Figli Martiri il 18 luglio. Tale festa era aperta dalla processione cittadina del 17 sera, nella quale, ad accompagnare il busto argenteo della Santa, posto sulla maestosa Macchina dorata, intervenivano tutti i Religiosi della città, il Magistrato con l’usuale  tributo di “due torce” 10, ed il Capitolo.
Il Busto rimaneva poi esposto  in Chiesa per otto giorni; l’ottavo giorno si mostravano le Reliquie tra lodi, musica e canti.
L’attività dei Padri Gesuiti nella chiesa di S. Sinforosa, continuò, con la sola interruzione del periodo napoleonico, fino al 1895.
Sappiamo che nel XX sec. la Parrocchia era amministrata da clero secolare.
Intorno al 1920, don Antonio De Angelis, parroco di S. Michele Arcangelo in Piazza Palatina, fu nominato parroco di S. Sinforosa, dopo che la giurisdizione della sua precedente parrocchia era passata alla chiesa “del Gesù”.

La bella chiesa di S. Sinforosa, ricca di storia, di marmi pregiati e tesori artistici di grande valore, fu purtroppo distrutta in pochi minuti dai bombardamenti la mattina del 26 maggio 1944.


La chiesa di S. Sinforosa dopo i bombardamenti.

Testimone di quel tragico momento fu l’allora parroco, Mons. Giovanni Troiani11, che raccontò, qualche anno più tardi a don Iliano Tancredi12:
“Ne uscii vivo per miracolo! Non riuscii a salvare nulla…mi restò la sola tonaca che avevo indosso!”
Pur duramente provato, don Giovanni iniziò subito, con instancabile tenacia e perseveranza, a cercare una nuova sede alla sua Parrocchia, Parrocchia che fu temporaneamente unita a quella di S. Vincenzo, nella Chiesa di S. Andrea.
Ci vollero però anni perché il luogo e le rovine della vecchia chiesa, lasciati all’abbandono, fossero ceduti al Comune che in cambio garantì un terreno per la costruzione di una nuova chiesa nel quartiere Empolitano.